La fascite plantare
La fascite plantare è una delle più comuni cause di dolore calcaneare e plantare. Negli Stati Uniti colpisce circa 2 milioni di persone, causando più di un milione di visite specialistiche.
In realtà il termine fascite plantare non è corretto, in quanto, come dimostrato da numerosi studi istologici, si tratta di un processo degenerativo più che infiammatorio. Sarebbe quindi corretto parlare di "fasciosi plantare".

È comune sia nelle persone sedentarie che negli atleti e si pensa possa essere dovuta a sovraccarico cronico, microtraumi ripetuti e calzature rigide. I classici sintomi includono intenso e pungente dolore, più frequente al mattino e la sera, che si allevia con la deambulazione e lo stretching della fascia plantare.
L'esame clinico del paziente mostra dolore elettivo sul margine mediale del tubercolo calcaneare e fastidio alla dorsiflessione dell'alluce. Tra i fattori di rischio ricordiamo l'obesità, il piede piatto e cavo, tutte le situazioni che causano un deficit della dorsiflessione della caviglia, la pronazione del retropiede e la prolungata stazione eretta.

La diagnosi è clinica. Gli esami strumentali, quando necessari, servono solo per escludere altre patologie con le quali la fascite plantare può entrare in diagnosi differenziale, come ad esempio la sindrome del tunnel tarsale, le neuropatie periferiche da diverse cause (diabete la più frequente), le tendiniti dell'achilleo e del tibiale posteriore, la borsite retrocalcaneare, le apofisiti, le fratture acute o da stress del calcagno.
L'esame strumentale più frequentemente richiesto è la radiografia, che in un 50% dei pazienti può evidenziare una spina calcaneare.
Al contrario di quanto si possa pensare, la spina calcaneare non è relazionata con la fascite plantare, come dimostrato dallo studio di Shmokler et al. Gli autori hanno infatti evidenziato come la spina calcaneare potesse essere presente nel 30% dei pazienti che avevano eseguito radiografie per altri motivi.
Il trattamento della fascite plantare è molto discusso e controverso. Allo stato attuale non vi sono evidenze scientifiche che dimostrino la superiorità di una terapia rispetto ad un'altra.
Nella pratica generale il primo approccio terapeutico è sempre quello dell'infiltrazione con corticosteroidi. Questo può alleviare i sintomi, soprattutto durante la fase acuta, ma recenti studi hanno evidenziato che trattamenti meno invasivi possono essere più efficaci e duraturi.
Il 90% dei pazienti infatti migliora con trattamenti conservativi, come lo stretching della fascia plantare e del flessori, i tutori notturni ed i plantari. Solo l'1% circa dei pazienti necessita di terapia chirurgica.

Lo stretching della fascia plantare e dei flessori, associato ai plantari, resulta essere uno dei trattamenti più efficaci e duraturi. Esercizi di dorsiflessione della caviglia determinano un allungamento dei flessori e della fascia plantare e possono essere insegnati ed eseguiti dal paziente stesso prima del riposo notturno ed il mattino, dove generalmente i sintomi sono più intensi.
Anche il massaggio profondo della fascia plantare si è dimostrato utile grazie ad un aumento del flusso ematico.
I tutori notturni hanno invece la funzione di impedire la flessione plantare durante il riposo notturno e mantenere la caviglia a 90 gradi. Sono poco tollerati dal paziente ma molto efficaci.
I plantari, prefabbricati o custom-made, hanno invece l'obiettivo di scaricare la fascia plantare.

Le infiltrazioni di corticosteroidi sono erroneamente il più diffuso trattamento di prima scelta. Una recente review ha dimostrato come queste diano sollievo solo nel primo mese ma non ai sei mesi se paragonate con il gruppo controllo.
Inoltre è stato dimostrato come un loro uso eccessivo possa causare atrofia del pannicolo adiposo plantare e rottura della fascia plantare.
Il trattamento chirurgico consiste nella fasciotomia, a cielo aperto o per via endoscopica. Essa è riservata ad una piccola percentuale di pazienti refrattari ai suddetti trattamenti.
Gli studi pubblicati su Pubmed indicano che solo il 50% della fascia plantare debba essere sezionata. In caso contrario infatti aumenta il rischio di collasso secondario dell'arco plantare.
La rimozione della spina calcaneare non è raccomandata. Un importante studio su cadaveri ha dimostrato come in circa la metà dei pazienti analizzati, la spina calcaneare non si trovi nello stesso strato della fascia plantare, suggerendo che quindi non abbia un ruolo causale nel determinarne la patogenesi della fascite plantare.
Diversi studi retrospettivi hanno dimostrato l'efficacia ed i buoni risultati funzionali della chirurgia, ma al momento non sono stati pubblcati studi clinici randomizzati che ne dimostrino la superiorità rispetto al trattamento conservativo.
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Sarino Ricciardello
Specialista in Ortopedia e traumatologia, Bologna
Alessio Biazzo
Specialista in Ortopedia e traumatologia, Bergamo
Nota: le indicazioni qui contenute non devono in alcun modo sostituire il rapporto diretto tra professionista della salute e paziente. E' pertanto opportuno consultare sempre il proprio medico curante e/o lo specialista.